Di Luca Daddi
Fabrizio Filippi, pisano di Santa Luce, è al vertice di Coldiretti Toscana dal 2018. E in questa veste ha guidato tutte le battaglie degli imprenditori agricoli.
Presidente, si parla molto di sovranità alimentare. Immagino che lei sia d’accordo. «Altro che. Era una nostra precisa proposta cambiare nome al dicastero (ora si chiama ministero dell’Agricoltura, Sovranità alimentare e delle foreste, nda) e abbiamo molto apprezzato che il nuovo governo l’abbia accolta. È una svolta. Sovranità significa rimettere al centro l’agricoltura, gli agricoltori e gli allevatori ma in una visione generale del Paese. La pandemia prima e la crisi energetica poi hanno dimostrato la centralità del cibo e l’importanza di garantire l’autonomia alimentare ed energetica dell’Italia in uno scenario globale segnato da distorsioni commerciali, accaparramenti e speculazioni che mettono a rischio gli approvvigionamenti. L’agricoltura è il settore da cui ripartire per disegnare il futuro della nostra nazione». L’inflazione galoppa, ma ai produttori vengono riconosciuti spiccioli. Come è possibile contrastare il fenomeno? «Le imprese agricole, tutte le imprese agricole, finalmente hanno uno strumento: è la legge contro le pratiche sleali che Coldiretti, praticamente da sola, ha sostenuto e promosso. Non puoi pagare un euro un chilo di spinaci e venderlo a cinque, sei, dieci volte di più. È inaccettabile. Oggi siamo in grado come associazione di mettere a disposizione delle imprese agricole associate i contratti e gli accordi quadro nel rispetto dei termini di legge e con un livello di flessibilità molto alto. Dobbiamo agire, e questa legge ce lo consente, per ristabilire rapporti chiari e riportare equilibrio sul mercato. Si realizza finalmente un percorso virtuoso finalizzato a garantire un’equa distribuzione del valore lungo tutta la filiera in un momento in cui si aggrava la situazione di molte imprese agricole costrette a vendere sottocosto anche per effetto di pratiche sleali che scaricano sull’anello più debole rincari energetici e speculazioni». Quale contributo può dare la filiera corta alla lotta al carovita? «Filiera corta e acquisti direttamente in azienda, dal produttore al consumatore come amiamo ripetere, sono lo scudo più efficace contro i rincari, ma anche un elemento per un’alimentazione sana e genuina. I mercati di Campagna Amica, che sono la nostra rete di vendita diretta, stanno salvando le imprese agricole e aiutando le famiglie in questa fase di grande difficoltà. I prodotti vanno direttamente dal campo alla tavola senza passaggi intermedi e senza costi aggiuntivi. Questo significa che le imprese agricole hanno un margine di utile che permette loro di andare avanti e proseguire nell’attività mentre i clienti un prezzo onesto, spesso inferiore a quello della grande distribuzione, per un prodotto di grandissima qualità. Quando chiude un’azienda agricola, non chiude soltanto un’attività, ma anche un sistema fatto di cura del territorio e di presenza e presidio attivo, spesso in zone marginali, un presidio che i cambiamenti climatici renderanno sempre di più fondamentale». Ci elenchi almeno tre buone ragioni per cui un giovane dovrebbe desiderare un impiego in agricoltura. «Eccole. Uno: un lavoro che non è un lavoro, ma può essere solo passione. Due: la qualità della vita che ti può offrire. Tre: il contatto con la natura e la semplicità. Negli ultimi decenni abbiamo spinto i giovani lontano dalle campagne, ma la professione del futuro sarà quella dell’agricoltore. I cambi di vita oppure il fenomeno delle grandi dimissioni sono solo all’inizio. Oggi in Toscana ci sono poco meno di tremila imprese under 40 con una tendenza a crescere». In che modo la tecnologia può aiutare gli imprenditori agricoli? «L’agricoltura 4.0, o agricoltura di precisione, non aiuta solo un’impresa a produrre meglio e ad essere più competitiva, ma a farlo in maniera sostenibile sia dal punto di vista ambientale che economico. Aiuta, per esempio, a irrigare nel momento giusto quella determinata coltivazione evitando sprechi di acqua partendo dall’analisi dell’umidità del terreno, a razionalizzare l’utilizzo dei concimi sulla base della fertilità del terreno o, ancora, a impollinare gli olivi che si trovano in zone collinari difficili grazie all’ausilio di droni. Il 60% degli agricoltori nel 2021 ha utilizzato almeno una soluzione di agricoltura 4.0 e oltre quattro su dieci ne utilizzano almeno due, in particolare software gestionali e sistemi di monitoraggio e controllo delle macchine. In Toscana stiamo sperimentando, insieme con Bonifiche Ferraresi, tecniche gestionali che stanno dando straordinari risultati grazie al gruppo operativo Go Tinia finanziato dal Piano di sviluppo rurale (Psr). Su nostra richiesta la Regione Toscana incrementerà in maniera considerevole le risorse del Psr per accompagnare con rapidità la transizione tecnologica in agricoltura». Cosa prevede il Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) per l’agricoltura? «In coerenza con gli impegni del Pnrr, la legge di bilancio dovrà sostenere il ruolo dell’agroalimentare nazionale, che oggi rappresenta il 25% del Pil ed è diventata la prima ricchezza del Paese, con misure per tutelare il reddito delle aziende agricole, anche a livello di tassazione. Con Banca Intesa abbiamo siglato un accordo che prevede, per la Toscana, 200 milioni di euro di finanziamenti per consentire alle imprese agricole associate di cogliere le opportunità dei bandi previsti dal Pnrr per il settore, e gli altri pilastri come i bandi del parco agrisolare, i contratti di filiera che riteniamo centrali e strategici, oltre a finanziamenti per la transizione green». Politica agricola comune (Pac): sono in gioco miliardi. «Sulla politica agricola comune occorre superare le osservazioni di Bruxelles e approvare in tempi stretti il Piano strategico nazionale senza il quale non sarà possibile far partire la nuova programmazione dal 1° gennaio 2023. Stiamo parlando di una dotazione finanziaria di 35 miliardi per sostenere l’impegno degli agricoltori italiani verso l’innovazione, la sostenibilità e il miglioramento delle rese produttive». Siete impegnati in queste settimane in una campagna contro il cibo sintetico: quale è l’obiettivo? «È ottenere una legge che vieti produzione e vendita di fake food, cibo finto appunto, nel nostro Paese. È una battaglia di civiltà in nome e per conto di agricoltori e cittadini. La produzione di cibo non può essere concentrata nelle mani di poche multinazionali e non può avvenire all’interno di un bioreattore o di una fabbrica. Non parliamo solo della carne che non è carne, ma anche di latte, formaggi, pesce e persino miele. Le bugie sul cibo in provetta confermano, tra l’altro, che c’è una strategia delle multinazionali che con abili operazioni di marketing puntano a modificare stili alimentari naturali fondati sulla qualità e la tradizione. L’adesione dei cittadini alla nostra campagna è già straordinaria, così come quella della politica e delle istituzioni che hanno compreso i rischi di una deriva senza precedenti e ci affiancano nella battaglia». |