Scorte di grano sufficienti in Toscana per almeno due-tre mesi e probabilmente abbastanza per arrivare alla prossima mietitura. A rassicurare imprese e consumatori è Coldiretti Toscana sulla base del monitoraggio delle riserve dei Consorzi Agrari d’Italia della zona del Tirreno, Consorzio Agrario di Firenze e Consorzio Agrario di Siena che raccolgono una buona parte del grano dei cerealicoltori del Granducato. “I nostri granai hanno un’autonomia di almeno due-tre mesi e questo significa che se le forniture dall’estero continuano ad arrivare non avremo problemi particolari. Dovremo averne abbastanza fino alla prossima mietitura a giugno. Molto dipenderà dall’evoluzione del conflitto per cui noi tutti preghiamo per una soluzione di pace rapida e duratura. – precisa Fabrizio Filippi, Presidente Coldiretti Toscana – Il problema più attuale è il prezzo del grano tenero mai così alto dal 2008, 37 euro al quintale, in continua salita, così come per il grano duro oltre i 50 euro al quintale, per mais e soia che rappresentano la base dell’alimentazione del bestiame e da cui dipendiamo in buona parte dalle zone interessate dal conflitto”.
Una emergenza mondiale che riguarda direttamente l’Italia, e quindi anche la Toscana, che è un Paese deficitario ed importa addirittura il 64% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti e il 53% del mais per l’alimentazione del bestiame, secondo l’analisi della Coldiretti dalla quale si evidenzia peraltro che l’Ucraina è il nostro secondo fornitore di mais con una quota di poco superiore al 20% ma garantisce anche il 5% dell’import nazionale di grano. L’aumento di mais e soia sta mettendo in ginocchio gli allevatori italiani che devono affrontare aumenti vertiginosi dei costi per l’alimentazione del bestiame (+40%) e dell’energia (+70%) a fronte di compensi fermi su valori insostenibili. Il costo medio di produzione del latte, fra energia e spese fisse, – sottolinea Coldiretti Toscana – ha raggiunto i 46 centesimi al litro secondo l’ultima indagine Ismea, un costo molto superiore rispetto al prezzo di 37 centesimi riconosciuto a una larga fascia di allevatori. Un prezzo troppo basso che Coldiretti Toscana insieme a Confcommercio sta tentando di rialzare con l’accordo etico “salva stalle” per aumentare l’utilizzo di latte munto in Toscana nei bar ed esercizi che ancora non lo utilizzano.
GUARDA IL SERVIZIO DI TOSCANA TV
La crisi in Ucraina riporta al centro il tema della dipendenza alimentare che riguarda da vicino, molto da vicino la Toscana. Basti pensare che le superfici di grano duro per la produzione della pasta si sono ridotte del 60% in 20 anni per attestarsi oggi intorno ai 56/57 mila ettari mentre quelle del grano tenero per fare pane e dolci dell’80% se prendiamo come metro di riferimento il 1982 secondo i dati di Istat ma con andamento molto altalenante sulla base del prezzo pagato di anno in anno ai coltivatori per attestarsi tra i 26/27 mila ettari tra il 2020/2021. Oggi in Toscana si producono circa 1,7 milioni di quintali di grano duro e poco meno di 1 milione di grano tenero. Lo stesso è accaduto per il mais: in Toscana le superfici destinate sono poco più di 11 mila ettari contro i 63 mila del 1982. La ragione di questa progressiva ritirata è da ricercare nei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori perché molte industrie per miopia hanno preferito continuare ad acquistare per anni in modo speculativo sul mercato mondiale anziché garantirsi gli approvvigionamenti con prodotto nazionale attraverso i contratti di filiera sostenuti dalla Coldiretti. Un’altra motivazione molto forte è quella della presenza degli ungulati che nel corso degli anni è cresciuta a dismisura rappresentando una vera e propria calamità diffusa su tutto il territorio regionale. “Siamo di fronte ad un errore strategico di cui le imprese agricole sono le prime vittime. Potremo aumentare notevolmente la nostra capacità di produrre materie prime essenziali per la nostra alimentazione. – analizza ancora Filippi - Per tornare a coltivare con costanza ed aumentare le produzioni deve essere garantito il costo di produzione alle imprese. Serve un vero patriottismo alimentare”.
Ma non solo. Quest’anno sono praticamente raddoppiati in Italia i costi delle semine per la produzione di grano per effetto di rincari di oltre il 50% per il gasolio necessario alle lavorazioni dei terreni ma ad aumentare sono pure i costi dei mezzi agricoli, dei fitosanitari e dei fertilizzanti che arrivano anche a triplicare. Nonostante questo il grano duro italiano – sottolinea Coldiretti Toscana – è pagato agli agricoltori nazionali meno di quello proveniente dall’estero da Paesi come il Canada dove è coltivato peraltro con l’uso del diserbante chimico glifosato in preraccolta, vietato in Italia.
La produzione italiana – precisa Coldiretti - è di alta qualità come dimostra il moltiplicarsi delle linee dedicate da ormai quasi tutte le principali industrie del settore a pasta e biscotti garantiti con grano nazionale al 100%, per rispondere alla forte domanda dei consumatori. La guerra in Ucraina ha dimostrato la necessità improrogabile di garantire la sovranità e l’autosufficienza alimentare come ha scelto di fare la Francia con Macron che ha annunciato un piano di sostegno per proteggere gli agricoltori mentre la Cina ha inserito il settore agricolo nelle linee di investimento programmatico dello Stato insieme all’industria meccanica e all’intelligenza artificiale”.
“Ci sono le condizioni produttive, le tecnologie e le risorse umane per ridurre la dipendenza dall’estero – rilancia il presidente di Coldiretti Toscana - La pandemia e la crisi ucraina ci stanno dando un grande insegnamento. Produrre cibo è un tema strategico di sicurezza nazionale. La determinazione dei fabbisogni alimentari di un Paese e la messa in campo di investimenti per garantirli deve tornare ad essere una priorità. La chiave è la costruzione dei bacini di accumulo delle acque piovane per combattere la siccità, ed aumentare i raccolti, ma bisogna anche contrastare l’invasione della fauna selvatica che sta costringendo in molte zone interne all’abbandono nei terreni, senza dimenticare di investire nell’agricoltura 4.0 per aumentare la produttività e garantire la sovranità alimentare. Ma nell’immediato – conclude Filippi - bisogna fare di tutto per non far chiudere le aziende agricole e gli allevamenti sopravvissuti con lo sblocco di 1,2 miliardi per i contratti di filiera già stanziati nel Pnrr, ma anche incentivare le operazioni di ristrutturazione e rinegoziazione del debito delle imprese agricole e fermare le speculazioni sui prezzi pagati degli agricoltori con un efficace applicazione del decreto sulle pratiche sleali”.